martedì 27 aprile 2010

OPZIONE FONDAMENTALE

Introduzione

L’opzione fondamentale è una categoria dello schema personalista che sta ad indicare il comportamento umano responsabile. E’ una categoria decisiva per la riflessione morale.
Certamente la morale non è riducibile all’opzione fondamentale, come fanno alcuni cultori di essa, ma nemmeno può essere sottovalutata detta struttura antropologica.
L’O. F. non si riferisce alle decisioni dell’io periferico (opzioni categoriali), ma è una decisione che ha origine nel centro stesso della persona, dal suo cuore, colto come nucleo della sua personalità.
Si tratta di una decisione fondamentale che condiziona tutte le altre decisioni fondamentali come intenzione di base. Essa si riferisce all’intera esistenza umana. E’ una decisione di tale densità che abbraccia tutto l’uomo e dà senso e orientamento a tutta la sua vita.
Si tratta di una "consegna" radicale e totale: il sì o il no della persona. E’ la decisione che riassume tutta la vita morale di un soggetto.
Essa consiste in una decisione fondamentale di consegna (accettare l’altro = avere fede, fidarsi) o di chiusura (costruirsi la propria storia = orgoglio, egoismo, superbia).
L’O. F. è il fondamento basilare della moralità. Tutto va compreso a partire da essa. Agostino (354-430) e Tommaso (1225-1274) definivano tutto ciò «fine ultimo» che deve estendersi a tutto l’agire morale. Nuova è la forma, che risulta più esistenziale e personale.

1. Opzione fondamentale: decisione nucleare della personalità morale

Abbiamo detto che mediante l’O. F. la persona esprime nuclearmente la decisione totalizzante del suo dinamismo morale.
La riflessione teologico-morale degli ultimi anni ha dato molto rilievo a questa categoria della vita morale.
La si è studiata a partire dai presupposti della filosofia morale razionale, dalla filosofia morale tomista.
Partendo da una considerazione antropologia della decisione umana, dalla prospettiva teologica dell’esistenza umana, dalla visione antropologico-teologica della libertà umana. Non sono mancati studi nei quali si fa il tentativo di una sintesi del tutto.
Si può affermare senza tema di smentita che l’opzione fondamentale è uno dei pilastri su cui è andato costruendosi il rinnovamento della morale, specie nella sua presentazione pedagogica.
Per poter esporre al meglio il significato dell’opzione fondamentale è necessario far riscorso a diverse prospettive scientifiche. Mi limito ad esporre tre orientamenti giudicati i più importanti: il punto di vista antropologico, la considerazione teologica e la dimensione morale.

1.1. Antropologia dell’opzione fondamentale

Per cogliere al meglio il significato dell’opzione fondamentale bisogna considerare il livello dinamico della persona, cioè la sua capacità di prendere delle decisioni. Infatti la vita di una persona è caratterizzata dal’essere "una scelta", una "vocazione".
Osservando la vita umana da un punto fenomenologico costatiamo che essa è chiamata a prendere una grande diversità di decisioni o scelte, che possono essere superficiali, periferiche, ma anche nucleari e profonde.
Analizzando "il mondo delle decisioni umane", la psicologia del profondo ha messo in evidenza importanza che hanno nella struttura della personalità le cosiddette «scelte fondamentali» o «progetti generali di vita».
Gli atti umani acquistano significato proprio attraverso le decisioni fondamentali. Le decisioni umani dipendono spesso da altre decisioni più radicali.
«E’ possibile ricostruire catene di deliberazioni che sboccano, alla fine, in una scelta originaria. Questo dinamismo operativo è quello che veramente fa l’uomo e determina la sua personalità. Si comprende, dunque, perché non è possibile affermare che un uomo è buono o cattivo, stabilendo una specie di contabilità delle sue azioni buone e cattive, per offrire poi il saldo di quelle che prevalgono. Solo la scoperta delle catene delle sue motivazioni, sino a giungere al motivo fondamentale del suo agire, può servire per qualificare la persona umana».
Ne consegue che si può considerare il significato antropologico dell’opzione fondamentale asserendo che «rappresenta l’orientamento, la direzione di tutta la vita verso il fine».
La nozione antropologica dell’opzione fondamentale deve essere rapportata al senso più profondo della libertà umana. Essa si realizza attraverso ciò che alcuni teologici morali definiscono «libertà fondamentale» e altri «libertà trascendentale».
Se poi poniamo il punto di partenza nella prospettiva della «psicologia della decisione» e della «psicologia dell’identità», l’opzione fondamentale costituisce l’espressione più qualificata dell’integrazione personale e della maturità psicosociale.
Secondo i fautori dell’opzione fondamentale l’uomo ha una capacità di decisione nucleare che si va sviluppando nella singolarità dei diversi comportamenti.
Essa, anche se non viene del tutto compromessa da un atto singolo, si incarna progressivamente nelle decisioni categoriali. Può essere modificata, approfondita e può perfino essere sostituita nel corso della vita.

1.2. Teologia dell’opzione fondamentale

La riflessione teologica studia il tema dell’opzione fondamentale a partire dai seguenti presupposti teologici:
- Essa è la grande possibilità (grazia) che Dio concede all’uomo perché possa realizzare la sua pienezza di senso;
- Attraverso del concetto di essa la teologia esprime il senso dinamico dell’esistenza cristiana.
Si tratta di due angoli di visuale che la riflessione teologica attuale utilizza per esprimere il concetto e la realtà dell’opzione fondamentale.

1.2.1. Opzione fondamentale come possibilità offerta da Dio

La teologia attuale stabilisce uno stretto legame tra l’opzione fondamentale e il dono della grazia. In ogni uomo c’è la tensione profonda a realizzare la propria pienezza di senso, cioè porta impresso nel più profondo del suo io un desiderio di infinito.
Tuttavia sperimenta che detto desiderio non può essere colmato a partire dai presupposti delle possibilità umane e quelle offertegli dalla storia concreta dell’umanità. Questo il vero dramma dell’umanità!
«Per l’uomo ha scarso valore fare molte cose, se non può realizzarsi in un’opzione fondamentale che orienti l’impulso originale della sua natura verso l’infinito di Dio. La sua interiore antinomia costituzionale, con la quale si trova aperto all’infinito senza poterlo mai raggiungere, lo situa certamente nel nobile ambito della libertà, ma lo agita anche in modo drammatico e lo muove in continua ambiguità finché Dio non esca ad incontrarlo e l’uomo lo accolga nell’obbedienza della fede».
La "grazia" dell’opzione fondamentale cristiana ha luogo quando Dio si offre all’uomo come autentico orizzonte della sua realizzazione, e quando l’uomo decide liberamente di porsi in questo ambito di riferimento.
E’ ovvio che l’ambito di accoglienza e di realizzazione dell’uomo va inteso come possibilità che Dio offre in Cristo Gesù conosciuto per mezzo dello Spirito Santo nella chiesa.
In altre parole si può dire che l’opzione fondamentale si identifica con la scelta del vivere cristiano: un vissuto in relazione amorosa con Dio, un vissuto nella conformazione a Cristo e con la forza dello Spirito Santo.
Con l’opzione fondamentale cristiana si verifica ciò che già Paolo aveva esperito quando affermava: «Non vivo più io, è Cristo che vive in me» (Gal 2.20).
Ne consegue che si può affermare senza tema di essere smentiti che la teologia dell’opzione fondamentale si identifica con la teologia dell’esistenza cristiana.
Nella riflessione teologica classica si usava l’espressione "teologia della grazia». Oggi si suole parlare di antropologia teologica.

1.2.2. Opzione fondamentale e impegno cristiano

La seconda prospettiva adottata dalla riflessione teologica attuale nel considerare l’opzione fondamentale è di carattere più dinamico.
Ne consegue che l’opzione fondamentale cristiana è la struttura o la forma che la decisione nucleare della persona adotta nel momento in cui decide di dare a se stessa la pienezza di senso.

1. Assumendo questo principio l’opzione fondamentale si identifica chiaramente con la carità, perché essendo essa una decisione nucleare del cristiano non può che essere l’orientamento radicale verso Dio.
Detto orientamento non è altro che la decisione di vivere in continua relazione d’amore con Dio.
La tesi della teologia classica che affermava essere «la carità forma di tutte le virtù» e quella più recente del «primato della carità in teologia morale», possono avere una versione più personalista nella formula: l’opzione fondamentale cristiana può essere definita come la decisione nucleare dell’esistenza cristiana e che i comportamenti o le decisioni categoriali o regionali non sono altro che sue mediazioni.

2. L’opzione fondamentale può essere espressa anche con la categoria della fede. Nel senso che l’opzione fondamentale non è altro che la radicale accettazione di Cristo come colui che è indica il nucleo della comprensione e della realizzazione di ogni uomo e donna.
Oltre alle categorie teologiche di carità e fede, ci sono molte altre forme che spiegano al cristiano il significato dell’opzione fondamentale.
Nel NT si trovano espressioni che sono valide per indicarne il significato e promuoverne la pedagogia. Esse possono essere riassunte nelle forme espressive seguenti:
- Identificazione con l’agire di Cristo: «Se il grano di frumento non cade in terra e muore, resterà solo: ma se muore porterà molto frutto» ( Gv 12,24).
- Accettazione delle «condizioni della sequela di Cristo».
- Scelta radicale tra Dio e il denaro.
- «Vendendo tutto» pur di poter ottenere la perla trovata o poter seguire Cristo.
E’ insito nell’opzione fondamentale l’esigenza di un cambiamento radicale nel modo di intendere e di realizzare la propria esistenza. Secondo il Vangelo vuol dire perdere la propria vita (proesistenza) per dedicarla agli altri, come verifica concreta dell’apertura a Dio e a Cristo.

1.3. L’opzione fondamentale categoria morale

Dopo aver analizzato il contenuto antropologico e teologico dell’ O. F. è importante comprendere la funzione che essa deve svolgere come categoria per il vissuto morale cristiano.
Ci si riferisce in modo particolare alla dimensione propriamente morale di essa e alle possibili applicazioni in campo formativo.

1.3.1. L’opzione fondamentale canale di vita morale

Partiamo dal principio che l’O. F. è l’espressione più importante della vita morale cristiana.
Mediante essa, infatti, la persona esprime in modo nucleare la sua moralità, cioè il dinamismo morale della sua vita in quanto soggetto responsabile.
Sia la riflessione teologica che l’insegnamento magisteriale fondamentale ha per comprendere la vita morale del cristiano.
Ecco di seguito le possibili applicazioni:
1. L’O. F. è una categoria che fa riferimento sempre al comportamento umano, in ciò che dice rapporto all’intenzione dell’agente. Sia la nozione che i termini esprimono la carica intenzionale dell’O. F.. Ne consegue che sia il significato che la funzione di detta categoria va letta entro l’orizzonte dell’intenzione morale.
2. L’O. F., colta in detto orizzonte, esprime in modo adeguato l’intenzione globalizzante che accompagna ogni comportamento morale. Si tratta senz’altro di una formulazione nuova rispetto al concetto di fine ultimo, elaborato dalla tradizione agostiniana e tomista. Così come detta tradizione intendeva il fine ultimo come l’intenzione globale che si concretizzava negli atti umani globali, allo stesso modo l’O. F. viene intesa come intenzione nucleare che si concretizza in atti categoriali.
3. L’O. F., in quanto orientamento o intenzione nucleare, non si può dare senza gli atti categoriali. Esso è l’aspetto "trascendentale" del comportamento morale che necessariamente si invera in contenuti categoriali. In altre parole essa è «l’intenzionalità inerente alla libertà fondamentale che impone di incarnarsi in azioni libere concrete». Ne consegue che l’O. F. non può essere intesa come qualcosa di autonomo e senza riferimenti alla concretezza delle azioni morali.
4. Se l’O. F. va riferita in modo dialettico ai comportamenti morali concreti, cioè nella dialettica tra intenzione e oggettività, e dentro l’orizzonte di significato espresso dalla intenzione nucleare e globalizzante, allora il suo impiego nella riflessione teologico-morale offre notevoli vantaggi per formulare in modo adeguato il contenuto dell’intenzione del soggetto agente, colto come fattore determinante della moralità.
I vantaggi possono essere i seguenti:
- Aiuta il soggetto a vivere in modo più cosciente le sue decisioni morali;
- enfatizza l’unità della vita morale;
- dà maggiore rilievo all’aspetto dinamico e personalizzante della morale;
- aiuta anche l’impostazione di alcuni temi di morale pastorale;
- si può intendere meglio l’incidenza della carità, della grazia e della fede nella vita morale del cristiano.
5. Una falsa concezione dell’O. F. può indurre a pericoli che possono essere ridotti ai seguenti:
- Se si intende l’O. F. senza far riferimento alla oggettività dell’azione morale può favorire un falso intenzionalismo o un vuoto soggettivismo.
- Rendere l’O. F. una realtà autonoma e non riferita in modo essenziale ad atti concreti e particolari, sostenendo che questi non hanno sufficiente forza per trasformare l’intenzione generale del soggetto.
Si tratta di due pericoli che insidiano l’intenzione morale. L’O. F. non viene relazionata in modo dialettico alla oggettività morale per cui rimane senza riferimento alla singolarità degli atti.

1.3.2. Interrogativi morali e pedagogici sull’O. F.

In quale età si può emettere l’O. F.?
Nella morale tradizionale si insegnava che il bambino, raggiunto l’uso di ragione, può orientarsi verso il fine ultimo, perché non può rimanere indifferente ad esso.
Da questa affermazioni venivano dedotte varie applicazioni pastorali: la possibilità del peccato e al confessione del bambino.
Credo che queste convinzioni debbano essere rivisitate a partire dalla psicologia e affini. Infatti, visto che l’O. F. è una decisione totale della persona, essa può essere emessa solo da chi ha raggiunto una sufficiente maturità psicologica.
Dovendo dare una risposta precisa alla domanda suddetta, si può ipotizzare quanto segue:
- In forma normale e evidente l’O. F. si può far coincidere con la «crisi della personalità» che ordinariamente avviene nell’adolescenza. Detta crisi psicologica avviene nel trapasso di una vita sotto il segno del «super-io», ad una vita «individualizzata». In essa si avverte una profonda crisi religiosa e morale: è questo il tempo propizio per l’O. F..
- Comunque essa va predisponendosi fin dai primi anni dell’infanzia e quindi, essendo anni che condizionano l’O. F., devono essere riferiti ad essa.
Ciò non vuol dire che nel bambino non ci sia responsabilità. Essa c’è nella misura della sua crescita.

Come si verifica l’opzione fondamentale?
L’O. F. non è un atto esplicito, ma implicito. Essa è la decisione con la quale l’uomo determina liberamente e radicalmente il suo rapporto con il fine ultimo, disponendo totalmente di se stesso. Detta decisione e disposizione di se stesso non viene fatto con un atto esplicito e riflesso, ma implicitamente nei singoli atti. Questa operazione è cosciente e libera , ma non riflessa.
L’uomo in ogni comportamento morale non solo sceglie esplicitamente e riflessivamente questo o quel valore categoriale, ma in modo non riflesso impegna la sua O. F..
Questo può accadere:
- sia che faccia la sua prima opzione fondamentale o il suo primo atto morale;
- sia che rinnovi una opzione fondamentale già esistente,
- sia mutando la precedente opzione in una contraria.
Inoltre ogni comportamento morale si esplicita secondo i seguenti due aspetti:
- la particolarità: creata dall’orizzonte del valore morale categoriale;
- l’universalità: la scelta del fine ultimo che viene fatta coscientemente, anche se non è necessariamente riflessa, attraverso il valore categoriale.

1.4. Radici storiche e dottrina della chiesa

Per maggiore chiarezza di quanto detto mi permetto di aggiungere quanto segue:
- un riferimento alla tradizione teologica,
- un analisi del magistero recente sul tema dell’O. F..

1.4.1. L’O. F. nella tradizione teologica

Benché l’uso dell’espressione O. F. e la riflessione su di essa sia di uso recente in teologia morale, il suo contenuto, però, può essere rinvenuto in tante tematiche della tradizione teologica classica.
Non sono mancati studi che hanno messo in evidenza le redici storiche dell’O. F.. Possono rinvenirsi elementi:
- Nelle seguenti riflessioni di Agostino: interpretazione esistenziale della vita cristiana, senso di profondità e di orientamento fondamentale nel vissuto cristiano, esigenza di costante conversione, consegna totale all’amore di Dio, che è centro di gravitazione e di attrazione di tutto il peso della vita del credente.
- Nelle riflessione di Tommaso nel tentativo di comprendere la decisione umana esplicita elementi che anticipano l’attuale concetto di O. F.: modo di intendere il primo atto di libertà come scelta di totalità; la funzione totalizzante del fine ultimo nella vita morale; la comprensione del peccato mortale nell’opzione fondamentale negativa.
- Nella dottrina di Sant’Alfonso: comprende la vita cristiana come il dipanarsi dell’opzione fondamentale centrata sulla carità.

1.4.2. Il recente magistero della chiesa

Il magistero della chiesa recente ha fatto esplicito riferimento in senso lato al tema dell’opzione fondamentale. Numerosi testi del Vaticano II e del magistero di Giovanni Paolo II possono essere interpretati in questa chiave.
I testi, però, che fanno esplicito riferimento al concetto di opzione fondamentale possono essere ridotti fondamentalmente a tre:

1. La dichiarazione "Persona humana" al n. 10 parla dell’opzione fondamentale nel contesto del peccato in materia sessuale. Ecco quanto sostiene:
Si espone l’opinione di «alcuni» che «arrivano fino ad affermare che il peccato mortale, che separa l’uomo da Dio, si verificherebbe soltanto nel rifiuto diretto e formale, col quale ci si oppone all’appello di Dio, o nell’egoismo che, completamente e deliberatamente, esclude l’amore del prossimo. E’ allora soltanto, dicono, che ci sarebbe l’opzione fondamentale, cioè la decisione che impegna totalmente la persona e che sarebbe richiesta per costituire un peccato mortale; per mezzo di essa l’uomo, dall’intimo della sua personalità, assumerebbe o ratificherebbe un atteggiamento fondamentale nei riguardi di Dio e degli uomini.
Al contrario, le azioni chiamate "periferiche", che, si dice, non implichino, in generale, una scelta decisiva, non arriverebbero a modificare l’opzione fondamentale, tanto più che esse procedono spesso, si osserva, dall’abitudine.
Esse possono, dunque, indebolire l’opzione fondamentale, ma non modificarla del tutto. Ora, secondo questi autori, un mutamento dell’opzione fondamentale verso Dio avviene più difficilmente nel campo dell’attività sessuale, dove, in generale, l’uomo non trasgredisce l’ordine morale in maniera pienamente deliberata e responsabile, ma piuttosto sotto l’influenza della sua passione, della sua fragilità o immaturità e, talvolta, anche dell’illusione di testimoniare così il suo amore per il prossimo; al che spesso si aggiunge la pressione dell’ambiente sociale».
Questo è quanto la Dichiarazione sostiene, ma difficilmente ci saranno teologi morali che difendono quanto sostenuto da essa. Mi sembra tuttavia che la Dichiarazione fa due tipi di apprezzamenti nei confronti dell’O. F., e cioè:
- Da una parte la si accetta: «senza dubbio l’O. F. è quella che definisce in ultima analisi la propensione morale di una persona»;
- Dall’altra mette in guardia contro due esagerazioni:
1. L’O. F. può essere realizzata con atti categoriali: «un’O. F. può essere radicalmente modificata da atti particolari, specialmente se questi sono preparati, come spesso accade, da atti anteriori più superficiali. In ogni caso, non è vero che uno solo di questi atti particolari non possa essere sufficiente perché si commetta peccato mortale».
2. Il peccato mortale si ha quanto c’è una trasgressione con contenuto concreto: «secondo la dottrina della chiesa, il peccato mortale che si oppone a Dio non consiste soltanto nel rifiuto formale e diretto del comandamento della carità; esso è ugualmente presente in quella opposizione all’autentico amore, incluso in ogni trasgressione deliberata, in materia grave, di ciascuna delle leggi morali».

2. Esortazione apostolica Riconciliazione e Penitenza di Giovanni Paolo II (1984). Alla fine del n. 17, dedicato al concetto di peccato mortale e veniale, il documento mette in relazione l’O. F. con il peccato mortale. Ripropone le due esagerazioni indicate dalla Dichiarazione e afferma:
«Parimenti si dovrà evitare di ridurre il peccato mortale a un atto di opzione fondamentale, come oggi si suol dire, contro Dio, intendendo con essa un esplicito e formale disprezzo di Dio o del prossimo. Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l’uomo, sapendo o volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato. In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell’amore di Dio verso l’umanità e tutta la creazione: l’uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità. L’orientamento fondamentale quindi, può essere radicalmente modificato da atti particolari. Senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l’aspetto psicologico, che influisce sull’imputabilità soggettiva del peccatore. Ma dalla considerazione della sfera psicologica non si può passare alla costituzione di una categoria teologica, qual è appunto l’opzione fondamentale, intendendola in modo tale che, sul piano oggettivo, cambi o metta in dubbio la concezione tradizionale di peccato mortale».
Pur con tutto il rispetto per le affermazioni su esposte mi permetto di segnalare alcune imprecisioni nell’assunzione dei concetti dei vari teologi: una mancanza di piena oggettività nella presentazione dell’opinione di essi. Si dà una eccessiva importanza ai contenuti materiali o categoriali della decisione morale, diminuendo la funzione degli aspetti formali o trascendentali.

3. L’Enciclica Veritattis Splendor (1993) tratta in forma diretta e accurata il tema dell’O. F. nei nn. 65-70.
L’enciclica fluttua tra accettazione e rifiuto. C’è un aspetto dell’O. F. che viene decisamente rifiutato: è la dissociazione tra opzione fondamentale e le decisioni concrete. Questo rifiuto è presente in tutta l’enciclica: cf nn. 66 e 67.
Si critica la dissociazione dell’O. F. «dalla scelta degli atti particolari secondo le correnti precedentemente menzionate» (n. 66). Si afferma che «dette teorie sono contrarie allo stesso insegnamento biblico, che concepisce l’opzione fondamentale come una vera e propria scelta della libertà e collega profondamente questa scelta agli atti particolari» (n. 67).
Circa la critica mi permetto di fare due osservazioni:
- L’Enciclica sembra denotare una qualche confusione nella comprensione dell’O. F.: essa non è riducibile ad una decisione atematica e senza contenuto concreto. Essa è una decisione il cui contento attiene la piena realizzazione del soggetto agente. Un contenuto che va sviluppato e attuato con decisioni singolarizzate, cioè con atteggiamenti categoriali e atti concreti di verifica.
- L’altra considerazione parte dalla riflessione teologico-morale attuale. Da un attento esame degli studi sul tema mi sembra che non ci siano autori che intendano l’O. F. come una decisione atematica e senza contenuto concreto. Anzi si mette l’accento sulla relazione tra libertà trascendentale e libertà categoriale. Alcuni insistono più sull’una e altri sull’altra.
L’Enciclica, comunque, ai nn. 66-68 accetta la categoria antropologico-morale. Si parla di una concezione biblica dell’opzione fondamentale e la si assume in pienezza, anche se vengono segnalati alcuni criteri per la sua retta comprensione e per il suo utilizzo nella prassi pastorale.
Ribadendo che «la libertà non è soltanto la scelta per questa o quell’azione particolare, ma anche, entro questa scelta, decisione su di sé e disposizione della propria vita» (n. 65), non si accetta la distinzione tra «libertà fondamentale o trascendentale» e «libertà categoriale».
Questo rifiuto è una conseguenza dell’idea di libertà che è stata esposta ed è il presupposto per poter giustificare l’accettazione dell’O. F.. Del resto tale definizione articola bene il significato della libertà umana, sintesi dialettica tra orizzonte di totalità e limitazione di concrezione.
Personalmente ritengo che sia la possibile deviazione come la concezione ortodossa dell’O. F. verranno ridimensionate se tra l’O. F. espressione della libertà trascendentale e l’emissione degli atti, espressione della libertà categoriale si introdurrà la categoria intermedia di atteggiamenti.
Con essa si mitigherebbe la tensione che nasce dalla distanza sussistente tra opzione e atti, dall’altra l’opzione fondamentale diverrebbe più concreta e gli atti concreti sgorgherebbero meglio da decisioni settoriali.
Questa funzione fu svolta nella tradizione teologico-morale dalla categoria dell’abito, virtù o vizio. L’atteggiamento prenderebbe oggi il posto che nella riflessione tradizione fu della virtù.

1 commento:

  1. Grazie. Il testo è veramente interessante e ampio. In sostanza si concorda con l'insegnamento del Magistero, pur sottolineandone il contributo prevalentemente critico, costruttivo indirettamente per chi cerca nella pratica di utilizzare dinamicamente "l'opzione fondamentale". Il concetto ( o categoria) nuovo vuol solo (!) orientare la riflessione, per interpretare meglio quell'unità della persona umana che non è mistero, ma può accogliere il mistero.
    Però in questo testo mancano alcuni chiarimenti (necessari a chi legge o fa una ricerca) su autori (teologi morali), o rimandi a loro opere, di cui si cita il pensiero virgolettato. La divisione dell'argomento è veramente ottima. Però alcuni "refusi" rendono - in alcuni punti - la comprensione del testo un pochino ardua, anche sintatticamente.
    Gloria Piras

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